In Sicilia l’arte presepiale, pur risentendo degli influssi della scuola napoletana, si differenzia per l’incredibile varietà di stili e materiali impiegati. Nella mappa dei centri siciliani produttori di presepi Palermo, Messina, Trapani, Siracusa, Caltagirone, Acireale, Noto, Ragusa sono le città più note per i maestri che vi hanno operato.
La diffusione del presepio in Sicilia si può datare a partire dal secolo XV, periodo in cui era costume rappresentare la nascita di Gesù con statuine tridimensionali mobili. Il Laurana e i Gagini, furono gli interpreti più importanti della scultura presepiale siciliana del periodo.
Del 1494 è il gruppo marmoreo realizzato da Andrea Mancino, nella chiesa dell’Annunziata a Termini Imerese, considerato la prima opera presepiale siciliana.
Il passaggio dalla esecuzione delle figure in pietra a quelle in legno a tutto tondo può essere storicamente considerato l’atto di nascita del presepe vero e proprio, che si caratterizza subito per la teatralizzazione delle composizioni plastiche e la forte impronta naturalistica affidata alla modellazione dei personaggi.
A San Bartolomeo a Scicli, è conservata un’opera di fattura napoletana che si fa risalire al 1576 anche se ha subìto nel tempo reiterati interventi di restauro, con pesanti rimaneggiamenti e consistenti integrazioni.
Già nella prima metà del XVII secolo è attestato l’impiego di figure mobili, scolpite in legno in piccola o in grande scala, all’interno di presepi montati nelle cappelle private dei nobili. Uscite dalle chiese ed entrate nelle case delle famiglie aristocratiche, le statuine crescono di numero e si arricchiscono sempre più di elementi decorativi che ne accentuano eleganza formale e vivacità realistica, trasformandole (da oggetti di culto) in vere e proprie opere artistiche, da esporre, ammirare.
Quando si cominciarono ad usare materiali preziosi come l’oro, l’argento, la madreperla, l’avorio e il corallo, l’evoluzione del presepe in soprammobile in stile raggiunse il suo culmine.
Chiusa dentro bacheche di vetro, la piccola composizione della Natività posata su antichi cassettoni o davanti a raffinate specchiere, rimaneva stabilmente esposta per essere a lungo ammirata. Mentre a Napoli si introducevano i manichini lignei rivestiti con le più ricche e sfarzose stoffe degli abiti della moda del tempo, in Sicilia la ricchezza e la ricercatezza nei gusti e nello stile erano date soprattutto dalla lavorazione a bulino delle pietre più pregiate, con le quali erano eseguite le piccole e splendide Sacre Famiglie, oggi in gran parte conservate presso il Museo Pepoli di Trapani.
Il più importante centro di produzione di questo tipo di Natività è la zona del trapanese.
Argentieri e corallari diedero vita a un capitolo tutto nuovo e tutto siciliano della storia del presepe, attraverso la manifattura di piccoli gruppi scultorei raffiguranti la Natività inserita fra i ruderi di un edificio classico o nel folto di una rigogliosa vegetazione.
La sapiente commistione cromatica dei diversi materiali preziosi:il bianco intenso dell’avorio, il rame dorato, il rosso vivo del corallo, i contrastanti riflessi delle lamine d’argento sbalzate e delle gemme e degli smalti applicati, ha contribuito a fare, di queste minute ed elaborate composizioni, singolari opere d’arte la cui fama ha percorso tutta l’Europa.
Fra gli autori di questi presepi si ricorda il maestro Giuseppe Tipa che con i figli Andrea e Alberto fu titolare di una prestigiosa bottega attiva a Trapani almeno fino alla fine del XVIII secolo.
Alla stessa città di Trapani e al nome di Giovanni Matera si legano le fortune di un’altra fondamentale pagina nella storia della cultura figurativa siciliana: l’arte della scultura modellata secondo le tecniche della “tela e colla”. In legno di tiglio erano costruiti la testa e lo scheletro delle figure, su cui erano organicamente sovrapposte e morbidamente drappeggiate tele imbevute di colla e gesso a simulare i costumi dei personaggi.
Matera fu insuperato caposcuola di queste particolari tecniche di scultura presepiale. Le sue opere più significative si possono ammirare nel Museo Pitrè di Palermo e nel Museo Nazionale di Monaco di Baviera.
Tecniche e stile adoperati dal Matera furono a lungo modelli di riferimento per i costruttori di pastori e presepi siciliani, grazie anche all’economicità dei materiali d’uso che favorì una larga diffusione popolare di questa tradizione artigianale.
Un discorso a parte merita la produzione dei presepi in cera, particolarmente ricca nella regione iblea, che può vantare una storica e ancora fiorente apicoltura.
La ceroplastica, attività praticata fin dal medioevo all’interno dei monasteri e dei conventi, diventò a partire dal secolo XVIII specializzazione dei cirari, che sfruttarono la versatilità e la duttilità della materia per eseguire ex voto, modellare santi e bambinelli e plasmare piccole Natività. Le cere scolpite erano oggetto di culto ma anche di ammirazione artistica, per la varietà e la preziosità degli addobbi che spesso guarnivano i soggetti. Di notevole fattura sono le opere del siracusano Gaetano Zummo, tra i primi e il più celebre ceroplasta siciliano del quale si trovano alcuni gruppi statuari di grande pregio nel Victoria and Albert Museum di Londra.
Altri nomi noti sono quelli di Anna Lo Fortino e di Rosalia Novelli di Palermo, di Giovanni Rosselli di Messina e di Ignazio Macca di Noto.
Alle soglie dell’Ottocento il presepe, definitivamente uscito dagli ambienti meramente ecclesiastici e aristocratici, comincia ad assumere connotati e caratteri popolari, diventa oggetto domestico rituale, entra anche nelle case delle famiglie meno abbienti, sia in città che nelle campagne.
L’utilizzo popolare del presepio si deve soprattutto all’utilizzo della terracotta. La ceramica popolare ebbe infatti in quegli anni forte sviluppo e con essa l’arte dei figurinai, ovvero degli artigiani che dall’argilla modellata ricavavano le statuine da presepe. L’introduzione degli stampi di gesso nel ciclo di lavorazione fu poi determinante per abbassare i costi e incrementare la produzione in serie delle figurine in terracotta. Da questo fatto tecnico e da questo preciso momento può farsi cominciare la storia del presepe popolare con le sue alterne vicende che continuano fino ai nostri giorni.
Caltagirone occupa nella storia del presepe popolare un posto di primissimo piano. Qui l’arte della ceramica, che può vantare un’antichissima tradizione, ha conosciuto uno straordinario sviluppo raggiungendo esiti di estrema raffinatezza. Qui operarono, tra la fine del ‘700 e la prima metà dell’800, Giacomo Bongiovanni e Giuseppe Vaccaro, rispettivamente zio e nipote, maestri entrambi nell’uso dell’argilla sovrapposta in forma di sottilissime strisce sul corpo già modellato delle statuine.
Si dice infatti che Giacomo, avendo avuto modo di osservare una figurina del Matera, abbia esclamato: “vestirò d’argilla le mie figurine”.
Questa innovazione rivoluzionò la tecnica del modellato, che venne seguita e imitata da tutti i figurinai fino ai nostri giorni. Invece della stoffa, secondo la maniera del Matera, il figulinaio calatino, per rendere il panneggio, rivestiva il modellato del corpo nudo del personaggio con sottili strati di argilla, agevolato in ciò anche dalla conoscenza del mestiere di sarto, esercitato dal padre.
Tra gli artigiani più illustri oggi attivamente impegnati, tra tradizione e innovazione, a dare un futuro all’arte di foggiare statuine di terracotta vanno ricordati almeno i nomi di Mario Lucerna di Messina, Angela Tripi di Palermo, Mario Iudici, Enzo Forgia, Francesco Scarlatella e Enzo Venniro di Caltagirone.